Volti di donne e uomini ritratti nel chiuso dell’abitacolo di automobili, giovani felici e sorridenti con casco integrale e sciarpe al vento in sella a moto, attori famosi di celebri film, artisti, galleristi, amici, famigliari visti attraverso il vetro trasparente e leggermente curvo del parabrezza. Un unico paio d’occhi registra tante situazioni entrando nel fluire d’innumerevoli visioni. Sono essenzialmente ri-tratti, immagini fisiche e mentali che nascono dal desiderio di fermare ciò che è mutevole, transitorio, contingente. Chi osserva per volontà dell’autore, si trova nella particolare condizione di poter guardare (con occhi prestati) come attraverso il mirino di una macchina fotografica. Il pennello è il mio obiettivo dichiara con semplicità Guido Palmero a proposito dei suoi dipinti. Nelle sue mani, l’antico strumento della pittura, ritrova una nuova vitalità quasi giungendo a simulare l’immagine fotografica. Una tecnica particolarmente precisa e attenta, utilizzata per realizzare fisionomie, gesti o posture capaci di svelare soprattutto le relazioni dei personaggi, a volte anonimi in altri casi assolutamente noti. Sempre protagonisti di realtà transitorie e in continuo movimento, eternati forse congelati, come se gli accadimenti nel loro farsi potessero essere riuniti in un ideale album fatto di incontri fugaci, situazioni quotidiane, complicate/semplificate dalla retro/visione. Si tratta quasi di una sintesi formale, utile forse a ricucire lo strappo ottocentesco tra arte e vita, tra lo spazio virtuale dell’opera d’arte e lo spazio fenomenologico del reale.
Un segreto fatto d’abilità, sapienza tecnica e tempo (un’infinità di tempo per fermare un attimo) per mezzo del quale l’artista realizza immagini di persone comodamente raccolte nell’abitacolo della propria vettura oppure in sella ad un motociclo, al riparo, dietro il parabrezza. Un assottigliamento di confine tra immagine fotografica e pittorica, utilizzato da Guido Palmero per porre in evidenza quanto le nuove condizioni percettive imposte dalla scienza e dalla tecnologia, prima ancora che i mutati atteggiamenti filosofici e intellettuali, di fatto, hanno determinato per l’umanità le nuove visioni del reale, nel XX secolo. Viaggiare su veicoli a motore è un andar controvento, una sfida e allo stesso tempo una conquista, della meccanica, dell’industria, della tecnologia. Nel secolo appena passato l’uomo ha realizzato tanti antichi sogni: viaggiare velocemente, comodamente, volare. Parallelamente ha sviluppato nuovi modi di vedere, come ulteriori facoltà conoscitive, lo sguardo dall’alto del volo aeronautico, la trasparenza dei corpi radiografati, la visione accelerata dalla velocità dell’automobile. In tal senso l’automobile da mezzo atto ad alloggiare il corpo, potenziamento ed estensione, nel tempo si è fatta corazza, destriero, alcova, diaframma. La strana scatola, per molti una casa in miniatura, in velocità realizza, nell’attualità del nostro tempo, le anticipazioni estetiche del cambio di prospettiva proprie del dinamismo futurista. Uno spazio d’invenzione chiuso e allo stesso tempo aperto sul mondo, sintesi – quasi un ossimoro – di spazio ristretto e libertà. L’abitacolo dell’auto – spesso accogliente per la prossimità delle persone, a volte costrittivo, intimo, privato, liberatorio – può diventare allo stesso tempo luogo della finzione, complesso sistema di codici e posture. Qui nel chiuso dell’auto lo sguardo è sempre negato agli occhi del vicino, vi è un’unica possibilità guardare avanti.
Come nell’andare, nel percorso della conoscenza, la vita stessa è intesa come passaggio temporaneo per realizzare percorsi, obiettivi, desideri, ambizioni.
Nella produzione pittorica di Guido Palmero persone e consuetudini colte nell’atto del guidare o del viaggiare (sempre in transito), sono minuziosamente riprodotti con un virtuosismo pittorico, tanto sbalorditivo quanto inusuale, sia per il supporto scelto sia per la resa formale. Tra le realizzazioni più recenti un omaggio a Michelangelo Pistoletto, artista, filosofo ed esteta del limite metafisico della soglia dello specchio. Nel dipinto è ritratto alla guida dell’auto, affiancato dal suo doppio, intento a osservare dallo specchietto retrovisore l’immagine della Venere degli Stracci (1967), sua emblematica installazione, sintesi formale di concetto e materia, storia e memorie, passato e presente. Un cortocircuito spazio-temporale per una particolarissima visione, quasi una moderna epifania del tempo presente, contenitore e contenuto, di realtà flessibili, realizzazioni visive del continuum spazio/tempo d’immagini forse a tratti un po’ allucinate ma sempre poetiche, curve, morbide quasi pastose.
Un invito ad andare o forse a lasciarsi andare, un modo peculiare di essere nel mondo, di muoversi nel mondo: on the road.
Anna Pironti
Gen
15